Bicicletta nuova, vita nuova.

racconti & riflessioni
circolare please

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Abito bianco e azzurro. Corpo snello e slanciato eppure forte. Aspetto deciso, carattere grintoso, personalità solida. A occhio: allegra, aperta, sportiva. Una che ama stare all’aria, anche al vento, sempre nella natura, una che non sa rinunciare alle gite e che non manca agli appuntamenti. Una sana, una giusta. Una bella dentro e fuori. Una di cui innamorarsi a prima vista.

L’ho conosciuta una settimana fa, e siccome eravamo nel Castello di Bevilacqua, mi è apparsa come una principessa. Splendente, se non folgorante. Alla fine della serata è salita sulla mia macchina, anche se avrebbe meritato un cavallo bianco, magari bianco e azzurro, e non una Qubo, per quanto bianca, bianca ma non azzurra, a metano. E siamo andati via, insieme, nella notte, cantando sotto la pioggia.

Si chiama Adrenaline ed è una mountain bike. Mi è stata donata da una comunità di appassionati di ciclismo veneti per il Prestigio d’oro-Fiera del riso. E l’ha fabbricata Liotto, di Vicenza, un industrioso artigiano, anche un industriale artigiano, alla terza generazione ciclistica: il nonno Luigi, il papà Gino, e adesso lui, Pierangelo, a fare e faticare, fabbricare e assemblare, mettere in bici bambini e nonni, corridori e viaggiatori, montanari di città e cittadini di montagna.

Una nuova bici promette impreviste strade e avventure, altri percorsi e compagnie, diversi orari e orizzonti. Una nuova bici non significa tradire, o rinnegare, la bici precedente, soprattutto se questa ha un’altra vocazione, stradale o pistaiola, urbana o – come per un tandem – multipla. Una nuova bici accende voglie e curiosità, libera fantasia e immaginazione. Una nuova bici apre, aggiunge, moltiplica. E anche su un itinerario conosciuto, può regalare sensazioni ed emozioni ancora sconosciute.

Il battesimo è stato celebrato nel Parco dell’Appia Antica, a Roma. Adrenaline ha ballato sui sampietrini e svirgolato nel fango, respirato la Fonte Egeria e sfiorato la Tor Fiscale, poi è stata punta dal trìbolo, una pianta parassita dei copertoni e assassina delle camere d’aria. Una puntura invisibile, quasi impercettibile. Tornata a casa, la gomma anteriore ha cominciato a sgonfiarsi. Ventiquattr’ore dopo, era a terra. Forse si è sentita parcheggiata o abbandonata, e allora era soltanto un modo silenzioso per richiamare l’attenzione su di sé.

Marco Pastonesi

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