Cadere in bicicletta. “La caduta”, direbbe Camus

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Cadere in bicicletta

Cadere in bicicletta.

Oggi non posso andare in bicicletta.

Non me lo impedisce la oscura normativa pandemica, me lo impedisce una frattura scomposta al mignolo sinistro che mi sono procurato nel disperato tentativo di livellare la porosa irregolarità del fondo stradale con la plastica forza otturativa della mia elastica cute.

Prescinderei dal fatto che sono caduto mentre mi allenavo con una bici a scatto fisso lungo una ciclabile e mi focalizzerei su una questione che, dopo almeno trecentomila chilometri in bicicletta, rimane per me misteriosa e un po’ esoterica. La questione è: cosa determina il fatto che io, talvolta (e ancora), cada in bicicletta?

La riflessione, oltre che psicoterapeutica è, spero, anche didattica e preventiva a favore di chi volesse condividerla.

Non pretendo di spiegare perché ‘si cade’ in assoluto, vorrei solo condividere il perché sono caduto ‘io‘, in quanto la banalità delle cause ne determina una possibile potenziale condivisibilità delle occasioni.

Nonostante abbia preso parte a qualche centinaio di manifestazioni, anche di ciclismo ‘estremo’, non sono mai caduto per eccesso di imprudenza in senso tecnico (eccesso di velocità, assunzione di un rischio ingiustificato, ecc.).

Le mie più dolorose esperienze hanno avuto come comune denominatore la distrazione e l‘ottusa convinzione di essere padrone del mezzo.

Poichè io sono distratto, frequentemente per ‘astrazione dal mondo’, posso dire che, una volta grattuggiato a cagione di un comportamento dato, ho accuratamente evitato di ripetermi: il piccolo elenco esperienziale che segue ha, quindi, uno scopo, come dicono i giuristi, generalpreventivo…

cadere in bicicletta

Cadere in bicicletta: la caduta da ‘incanto’ paesaggistico

Ho fatto 11 volte l’Eroica. Sono caduto in un’unica occasione: stava albeggiando e il cielo rimbalzava l’arancione del sole sulle zolle ruggine delle colline e sugli ulivi.

Ricordo perfettamente il momento, il luogo e il paesaggio. E li ricordo così perfettamente perchè, data la bellezza struggente del contesto, ho guardato l’aurora e non la strada proprio quando lo sterrato, morbidamente ma inesorabilmente, piegava a destra.

Una prima causa di caduta, che definirei ‘estetica’, è dunque connessa ad una delle ragioni per cui molti di noi pedalano: essere circondati da atmosfere naturali stimolanti e suggestive.

Va’ che bello”, ci diciamo mentre guardiamo un filare di cipressi ritagliato nella notte e, contemporaneamente, ci infiliamo sotto l’autobus per Frosinone.

Vorrei, dunque, proporre un suggerimento multiplo tanto semplice quanto, già lo so, inesorabilmente inutile: 1. se si sta correndo con intento agonistico NON si guarda il paesaggio; 2. se si vuole fare una fotografia ci si ferma per scattare; 3. se anche l’occhio vuole la sua parte, la sua parte la vuole anche la strada.

Omaggio a Sergio Leone: “quando si spara, si spara. Non si parla!” (il Buono, il Brutto, il Cattivo).

Cadere in bicicletta: “mamma, guarda, senza mani; mamma, guarda, senza denti”

Sono sceso con pioggia battente e nevischio dal Gavia, dal Gran San Bernardo

Del resto, in quest’ultimo capitombolo di qualche giorno fa, con bici a scatto f(e)sso, sono stato proiettato a terra mentre guardavo l’ora.

Le nonne dicevano ‘la confidenza è padrona della malacreanza’.

Il problema è che, spesso, la vera insidia si nasconde nella ordinaria quotidianità e nel gesto meccanico ripetuto milioni di volte.

Omaggio a Sergio Leone: in “C’era una volta il West”, Cheyenne (Jason Robards) viene ucciso per un colpo sparato a tradimento da un dilettante: “Mister Ciuf Ciuf! Nemmeno lo contavo quella specie di mezzo uomo…”. 

La caduta “meglio fico del bigoncio”

Ammettiamolo, per quanto poco allenati, vagamente imbolsiti o anche solo per pura devianza onirica, ciascuno di noi ha momenti in cui si immedesima in Fausto Coppi. 

È la fase: “un uomo solo al comando, e sei TU”.

Il momento in cui ci piaciamo di più è estremamente pericoloso. Spesso si accompagna a frammenti di delirio onirico in cui la scampagnata dopolavoristica si trasforma nel Campionato del Mondo e alla narcisistica contemplazione di se stessi si aggiunge un’infantile ansia da prestazione che  induce un agonismo inutile e, in qualche modo, suggestionante che comporta spesso una fatale disattenzione (ne sa qualcosa il mio fianco sinistro, grattuggiato durante una innocua manifestazione Gravel).

La contemplazione vagante del sé allontana lo sguardo dalla strada.

L’appropriata citazione di Sergio Leone è: “giù la testa, coglione!”.

Daniela Schicchi

Marco Pastonesi

Paola Gianotti

Alberta Schiatti

Paolo Tagliacarne

Paolo Della Sala

Anna Salaris

Francesca T

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