
Cinzia: ce n’è una che si chiama così.
La donna è mobile. Frulla e mulina, vortica e vola, arranca e ondeggia, scollina e svetta, spinge e sprinta, danza sui pedali, si lubrifica e si semplifica, sembra andare di fretta.
Ce n’è una che si chiama Cinzia. E’ bolognese e abita a Osteria Grande, e da sempre le osterie (meglio ancora se grandi) sono state patrie di biciclette, davanti a un’osteria fu fissata la prima partenza della prima Milano-Sanremo (nel 1907) davanti a un’osteria (proprio a Bologna) fu spostato l’arrivo della prima tappa del primo Giro d’Italia (nel 1909) perché era ormai notte e quello era l’unico posto dove le luci fossero ancora accese.
Cinzia: donne e bici non le ferma più nessuno.
La donna è mobile, ce n’è una che si chiama Cinzia, è piccolina e ha tre ruote, è giovane e di ruote ne ha due, è mamma e si è regalata un cestino davanti, è sportiva e ha conquistato una figura slanciata, ha una certa età e si è affidata a un motore elettrico, è monogamica soprattutto se su un monopattino. Cinzia ha passato qualche momento difficile (e diciamoci la verità: chi non li ha?), ma non ha mai perduto o rinunciato alla sua femminilità. Di nome e di fatto, di marchio e di stile, di grammatica e di grazia, di sella e di pedivella. Ma non è stato facile. Pensare che se, all’inizio, duecento anni fa, una donna in bicicletta era giudicata scandalosa, chissà come sarebbe stata censurata una bicicletta con il nome di una donna. Invece, adesso, donne e bici non le ferma più nessuno.
Anche perché una bicicletta con il nome di donna ha il suo irresistibile fascino seducente: accanto a Cinzia c’è Gloria, ho visto un’Aurora e incontrato una Graziella, ho conosciuto un’Esperia e sono uscito con Regina, un gran viavai di biciclette disinvolte e perfette.
La donna è mobile, ce n’è una che si chiama Cinzia e non ha bisogno di darsi delle arie. Perché quelle arie – il vento in faccia, fra i capelli, perfino sotto il casco – soffiano spontanee. E sanno tanto di libertà.
NB Nella foto, sembrerebbe che Cinzia abbia perduto la sua libertà. La verità è che non è lei – impaurita – che si attaccata al palo, ma il palo – innamorato – che si è attaccato a lei.
Marco Pastonesi