La mia prima Chase the Sun (parte 1)

racconti & riflessioni

TIPI TURBOLENTI

La Chase the Sun era uno spauracchio. Era qualcosa che credevo impossibile per me. La Chase era troppo. La Chase l’ho fatta grazie al Curta.

Il Curta, per quei quattro che ancora non lo conoscessero, è un ciclista Turbolento. Il più turbolento di tutti; il Curta riesce a parlare anche coi sassi. Il Curta è sempre a progettare nuove avventure nei Colli Senesi; il Curta è l’uomo gravel.

Le prime volte che ci ho chattato via telefono mi sono detto: “Questo è veramente fuori di testa, lo devo conoscere assolutamente!” Ci siamo incontrati durante la 100 km di Orzinuovi ed è stata una pedalata memorabile: ci siamo divertiti come dei bimbetti, inanellando una marea di bischerate dall’inizio alla fine e, tra una salamella e un bicchiere di birra, mi ha convinto a pensarci.  Ho guardato il calendario e mi sono iscritto.

Il percorso di avvicinamento è stato lungo, la Chase mi metteva timore, i ciclisti con cui ne parlavo snocciolavano tabelle di allenamento che non sarei mai stato in grado di tenere… Alcuni mi dicevano di due-tre lunghi da 200 km… era una distanza che io non avevo mai fatto.

HAI VOGLIA DI PEDALARE

Ho iniziato la preparazione, ritagliandomi il tempo qua e là. Mi dicevo: io devo anche lavorare, tutti sti chilometri dove li vado a fare? E poi sarò in grado di farmi duecentoottanta chilometri con un botto di salite?
Insomma, la Chase era uno spauracchio, uno spauracchio affascinante.

Un sabato ho fatto un’uscita da 160 km in solitaria con la Colma di Sormano e il Ghisallo. Sulla via del ritorno, a Erba, sui drittoni in saliscendi che precedono Cantù stavo letteralmente scoppiando, non ce la facevo più.

Sarò in grado di fare duecentottanta chilometri? Poi parlando col Curta, mi rassicurava: “Ma non preoccuparti, guarda ti dico come si fa: si parte piano si scherza si ride si mangia e vedrai alla fine quanti ne superiamo!”

“Sarà… – mi dicevo – vediamo”. E intanto continuavo la preparazione. Un giorno – proprio a Cantù – un automobilista ha tentato per 2 volte di buttarmi a terra. Intenzionalmente. Lì ho riflettuto amaramente su come siamo messi oggi sulle strade.

A tre settimane dalla Chase ho pensato bene di farmi stendere dalle micidiali traversine del tram di Milano; invece di un bellissimo giro nei colli dell’Oltrepò sono andato a fare una gita al Pronto Soccorso del San Carlo. Nulla di rotto, solo una settimana di preparazione saltata.

E comunque la volevo fare la Chase, mancavano due settimane e la volevo assolutamente fare. Ancora qualche uscita di medio raggio e poi…

CESENATICO

E poi eccoci: il pomeriggio del venerdì ho preso il treno… ed è stata una magia entrare in Cesenatico e vedere le barche storiche lungo il Porto Canale. È stata una magia entrare nel cortile del Museo della Marineria dove c’era la cena dei partecipanti; mi ricordo un urlo: “Paoloooo”. Ciao Curta, ciao Puma. Eccomi qua. Adesso si fa la Chase.

Chi è il Puma? Essere quasi mitologico, Ignacio detto il Puma, è tanto silenzioso quanto all’opposto il Curta è ciarliero. Un duro dal cuore morbido, scompare dal tuo gruppetto e non lo rivedi più per ore, poi ricompare quando meno te lo aspetti. Il Puma parla poco, ma c’è. Lui e il Curta ne hanno fatte cinque di Chase.

L’alba sul molo di Cesenatico ha un colore che non scorderò più. Arrivo che è ancora buio, sono teso. Ci allineiamo alla partenza. Si sente in lontananza il Vincerò e poi quel rumore che fanno migliaia di pedali che scattano nel silenzio dell’alba. Si parte con un brivido dentro.

La città è ancora addormentata, tempo bello, per adesso è fresco. Usciamo fuori e a est vediamo il sole che sta nascendo dai campi di grano. Il Puma è già sparito, il Curta non carbura. In poco tempo ci ritroviamo in fondo al serpentone; scalpito e mi verrebbe da accelerare. “piano, piano, non strafare adesso, poi vedrai quanti ne raccattiamo in Appennino”. Sarà, ma mi sembra d’essere dietro alla banda; i gruppetti più attardati li vediamo dileguarsi in lontananza. È stato bellissimo vedere quella marea di caschi, di fascette arancioni che si allungava nella pianura dell’alba.

A un certo punto il Curta mi fa: “Paolo ho fatto una cavolata, ho cambiato il sellino due giorni fa, non mi ci trovo una mazza”. Comincio a temere seriamente di non farcela. “Non ti preoccupare si arriva, si arriva, mi fa male ma si arriva. Quelli là partono a cannone ma poi li raccattiamo man mano che facciamo l’Appennino”.

E quindi andiamo avanti, io dubbioso col freno tirato, il Curta dolorante. Arriviamo alla prima salita, Rocca delle Caminate e poi la discesa bellissima tutta a tornati fino a Predappio.

Al bar in piazza ricompare, misteriosamente come sempre, il Puma. Caffè e brioche, si riparte.

VERSO L’APPENNINO

Ci rimettiamo tutti e tre in sella stavolta verso l’Appennino. È un lungo percorso di avvicinamento in falsopiano costeggiando il fiume, fino al primo OK-point di Premilcuore. Ricordo l’atmosfera, i vassoi di mele, le caraffe di tè. Siamo tutti ancora frizzanti e scalpitanti, abbiamo davanti il valico, ci guardiamo incuriositi mentre facciamo scorta di calorie. Da Premilcuore in poi la salita comincia a farsi leggermente più impegnativa; non è una salita dura quella del Valico dei Tre Faggi, è progressiva e l’asfalto è bellissimo perché da qui passerà il Tour de France nella Grande partenza dall’Italia. Ai bordi delle strade già si vedono decorazioni gialle, si sente nell’aria che sta per arrivare qualcosa di grosso e anche noi per certi aspetti siamo parte di questo movimento. Siamo un bel gruppone che risale il passo in direzione Firenze, dove partirà il Tour.

Il cielo è limpido, c’è un’atmosfera speciale, si sale e si chiacchiera. Col Curta non c’è mai problema di restare in silenzio; attacca bottone con tutti, tedeschi, inglesi, italiani…  e la salita diventa davvero più facile fatta così. Si sale, si sale, ci perdiamo di vista e ci ritroviamo continuamente; il Puma ogni tanto sparisce in avanti, io ogni tanto allungo poi rallento, il Curta addirittura si ferma a fotografare il canestro di un signore in giro a cercar funghi; però ha quattro funghetti sgangherati, e non è gran che felice di mostrarli… Ci facciamo una risata allontanandoci in fretta e andiamo avanti. L’aria si fa più fine, siamo in quota, mi sento bene, mordo il freno ancora per un po’ e poi parto. Arrivo al Valico dei Tre Faggi, c’è vento che viene su da ovest e nuvole che sfiorano il crinale, prendo un gel e riparto per arrivare al Bar Cavallino, il prossimo punto ristoro: lì ci aspetta la mitica finocchiona.

FOCACCIA E FINOCCHIONA

Che cosa incredibile la Chase: ti perdi e ti ritrovi ed è sempre una festa. “La finocchionaaaa!” ecco che arrivano il Curta e il Puma.

Il Cavallino è un bar d’altri tempi: fuori dal mondo, gente simpatica, atmosfera giusta. Tutto il gruppone è ancora lì che si mangia la focaccia: fantastica, mi piacerebbe averla tutti i giorni sotto casa una focaccia così… E poi una banana, un caffè e due chiacchiere. Panico per il mio Garmin che sembra si sia bloccato; se non salva la traccia mi sparo. Ci pensa il Puma che con la sua flemma non so come riesce a sbloccarmelo. Siamo pronti per ripartire.

Il problema è che in discesa il Curta non è Pidcock, anzi diciamo proprio che è un gatto di marmo:  partiamo e dopo 150 metri, alla prima curva, non c’è già più. Io e il Puma continuiamo a scendere verso Dicomano e verso la valle della Sieve. È lunga e tutta da pedalare; ci infiliamo in un gruppetto dietro al pacer e devo dire che teniamo una bella andatura. A Rufina attraversiamo la Sieve e passiamo sul lato destro del fiume; ecco quello è il pezzo che ricordo come il più bello paesaggisticamente di tutta la Chase. Il rilievo si fa più dolce, più toscano, si vedono le prime vigne, siamo nella zona del Chianti Rufina, si vedono gli ulivi… Procediamo spediti e arriviamo al ponte in pietra di Pontassieve. “Tu l’hai visto il Curta?” “No, e tu?” Ci mettiamo sul ponte ad aspettare e intanto il sole ci cuoce. Il Curta è indietro: ci vorranno ancora venti minuti. Quando arriva siamo contenti di riformare il terzetto; mangiamo e beviamo un poco e poi a quel punto dico: “Ragazzi io vorrei fare il Monte Serra; e se voglio arrivarci in tempo mi devo sganciare ora” “Vai, non ti preoccupare noi andiamo del nostro passo ci vediamo dopo!”

A breve la seconda parte del racconto di Paolo Rossi

Daniela Schicchi

Marco Pastonesi

Paola Gianotti

Alberta Schiatti

Paolo Tagliacarne

Paolo Della Sala

Anna Salaris

Francesca T

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