Vie, viali, controviali, incroci, circonvallazioni, semafori, passi carrai, piazze, larghi, slarghi, parcheggi, svolte, seconde file, corsie preferenziali, piste ciclabili.
Segmenti di piste ciclabili. Abbandonate, bucate, rattoppate. Ferite, infortunate, cicatrizzate. Tra foglie, rami, radici. Tra bottiglie di plastica, volantini di carta, mozziconi di sigarette.
Traffico. Tubi di scappamento. Lotta per la sopravvivenza. Come in un videogioco, come in una lavatrice, come in lunapark. Macabro, lugubre, anche divertente, nel suo genere, nel suo spazio, nel suo tempo, i più brevi se possibile, tra infrazioni e scorciatoie.
Fino a una Strada Zitta. Troppo solitaria per attrarre le macchine, troppo stretta per accogliere i pullman, troppo secondaria per ricevere i camion. Lì il tempo sembra essersi fermato e invece vi scorre anche nelle aree di sosta, lo senti, lo vedi, lo annusi, lo tocchi, lo abiti. Una sorta di contratto di affitto, di contatto di affitto.
Non è vero che le Strade Zitte (copyright di Paolo Tagliacarne) siano zitte. Parlano, raccontano, tramandano. Squittiscono, cinguettano, muggiscono. Sussurrano, soffiano, spandono. Il silenzio (copyright di Miles Davis) è la musica perfetta.
Le strade zitte, con il loro carattere mite e la loro natura apparentemente solitaria, non hanno bisogno di nulla. Le strade zitte si accontentano dei ciclisti. Pensieri a pedali. Fiato a cerchioni. Voglie a tubolari.
Marco Pastonesi
Per saperne di più vai a curiosare su le strade zitte