Il sistema economico post-capitalista, incentrato sul libero mercato e sul perseguimento del profitto, se da un lato ha dimostrato una notevole capacità di generare crescita economica e innovazione tecnologica, dall’altro ha creato molte diseguaglianze sociali e “sfruttamento” delle categorie poco tutelate.
Ora, lo stesso sistema, si trova di fronte ad una nuova, grande opportunità che potrebbe ridare al suo essere mutante, nuovo smalto e linfa vitale: riuscire a diventare motore di innovazione tecnologica e investimenti per affrontare la crisi climatica. Sarà all’altezza?
Transizione energetica e cambio di paradigma
Come è sulla bocca di molti politici “bisogna cambiare il paradigma”. Spostarci dalla logica del profitto personale, per iniziare a lavorare seriamente sull’idea di profitto per l’ambiente.
Il costo, o meglio sarebbe dire il prezzo, dei danni ambientali ricade in genere sulla società intesa come insieme di esseri viventi e non sulla società intesa come organismo aziendale responsabile dei danni ambientali. Con i giusti incentivi e corrette, ma severe, regolamentazioni, le aziende possono sviluppare tecnologie più pulite, investire in energie rinnovabili e adottare pratiche sostenibili. L’interazione tra imprese, governi e società civile può (dovrebbe) favorire politiche adeguate, per affrontare il cambiamento climatico.
Invece di fare questo il governatore lombardo Attilio Fontana è andato a Bruxelles a chiedere la proroga delle restrizioni a favore della qualità dell’aria, che dovranno entrare in vigore dal 2035. “La direttiva Ue sulla qualità dell’aria è basata su un’irrazionalità ideologica”, sostiene il nostro governatore. “Le scelte dell’Europa sulla qualità dell’aria sono assolutamente irrazionali perché ci porterebbero a far chiudere la Pianura Padana”.
Poi snocciola una serie di dati a sostegno del virtuosismo lombardo in termini riduzione degli inquinanti negli ultimi 15 anni: calo del 39% annuo per il PM10, del 40% per il PM2.5 e del 45% per il NO2. Benissimo, ma evidentemente non basta. Si può e si deve fare di più nella direzione della tutela ambientale, rispetto al chiedere l’ennesima proroga alla scadenza prevista.
Cambiamento climatico e fragilità dei territori
La gestione della crisi climatica, che provoca ricadute devastanti soprattutto sulle aree ad elevata fragilità idro-geologica, richiede una attenta, severa e qualificata pianificazione a lungo termine, che consideri in primis gli interessi ambientali. Soprattutto globali, ma partire da quelli locali non è certo uno sforzo inutile.
Nella logica attuale, troppe aziende (non tutte) puntano a massimizzare i loro profitti nel breve termine, piuttosto che considerare gli impatti a lungo termine sull’ambiente. Questo porta a scelte che ignorano o minimizzano gli effetti negativi dello sviluppo economico, sull’ambiente, sul clima, sulla vita nostra e del pianeta.
Varrebbe la pena di considerare che cosa è realmente sviluppo economico e che cosa no. Rimandiamo il tema ad altro momento, ricordando un testo di Giorgio Gaber: “dobbiamo smettere di credere che l’unico obiettivo sia il miglioramento delle nostre condizioni economiche…abbandonare il nostro smisurato desiderio di affermazione…”
Cambiamento climatico e consumi
Il mondo moderno si basa troppo sull’utilizzo di combustibili fossili, come il petrolio, il carbone e il gas naturale, per alimentare l’industria e far fronte alla smisurata domanda energetica con cui si vogliono soddisfare bisogni, ormai molto meno che primari, dei consumatori. Consumatori che oggi pare non riescano a sopravvivere senza merendine per bambini, bibite gasate, cibi per cani, prodotti di bellezza e auto. Per citare le cinque categorie merceologiche che più spendono denaro in pubblicità e promozione, su tutti i media possibili. Tutto questo ha contribuito e continua a contribuire all’aumento delle emissioni di gas serra e all’accumulo di CO2 nell’atmosfera. E il cambiamento climatico si palesa con crescente frequenza e con scenari devastanti che stiamo ormai vivendo, ognuno sulla propria pelle, ma che purtroppo nulla ci insegnano.
La sfida principale consiste nel trovare alternative sostenibili ed efficienti dal punto di vista energetico. La parola quindi alla transizione energetica.
Con una piccola domanda finale: ma se nel frattempo cambiassimo stile di vita iniziando da oggi a consumare meno? In assoluto, non solo meno energia. Meno di tutto. Imparando ad abbandonare il nostro smisurato senso di affermazione legato a ciò che consumiamo, più che a ciò che siamo. Siamo proprio sicuri che la riduzione dei consumi possa produrre, in termini di sviluppo economico, risultati più catastrofici di quelli generati dal cambiamento climatico?
Ai posteri l’ardua sentenza. Pedaliamo meditando, meditiamo pedalando.
- Transizione energetica: il passaggio da fonti di energia convenzionali, come i combustibili fossili, a fonti di energia rinnovabile ed eco-sostenibili, come l’energia solare, l’energia eolica, l’energia idroelettrica o l’energia geotermica. Questo passaggio è oggi indispensabile quale contributo fondamentale per la sostenibilità ambientale, per ridimensionare il cambiamento climatico in atto, per la diversificazione nell’approvvigionamento energetico. leggi di più su wikipedia